Non c’è alcun dubbio che il nostro sistema climatico, una volta sostanzialmente “stabile”, stia ormai diventando sempre più “instabile”. Su questo punto anche gli scettici e i negazionisti più convinti o interessati stanno concordando per l’evidenza dei fatti.
Quello su cui si dibatte, più o meno strumentalmente, sono le cause, la durata di questa evoluzione e la possibilità degli umani di rimediare o adattarsi ai nuovi equilibri.
Questo dibattito non è né banale né puramente ideologico, perché dietro ad esso ci sono precise conseguenze pratiche sulle attività economiche dell’uomo e quindi sull’attuale “sistema di sviluppo”.
Da una parte c’è chi, senza considerare le conseguenze pratiche, davanti agli evidenti rischi già presenti, chiede di interrompere drasticamente le attività maggiormente responsabili del cambiamento climatico e il conseguente sistema di sviluppo; dall’altra ci sono gli interessi economici di chi vive o di chi si arricchisce anche oltre ogni limite di decenza su tali attività.
Nel mezzo c’è la politica, stretta fra un’opinione pubblica sempre più cosciente, gli scienziati che lanciano continui allarmi e le lobby che difendono i loro cospicui interessi. Essa, ben lungi sia per interesse che per palese incapacità da dare indirizzi super partes, si barcamena fra l’imbonimento dell’elettorato con frasi fatte e ormai sdrucite, zeppe di “green” e di “sostenibilità” e il contentare nella pratica le lobby che la sostengono economicamente.
È quindi fondamentale portare il dibattito e le conseguenti scelte sul tema dell’interesse comune, intendendo con esso sia quello della popolazione (in tutti i suoi strati) che quello degli interessi economici, distinguendo però fra di essi quelli legittimi, sia nella misura che nell’etica, da quelli che possiamo, senza paura, dichiarare illegittimi. Purtroppo questi ultimi costituiscono spesso le lobby più potenti e aggressive che utilizzano tutti i mezzi a loro disposizione, compresa certa scienza e certa stampa, per contestare e minimizzare la drammaticità della situazione e le cause che ne stanno alla base.
Per superare questa impasse e queste opposizioni, l’unica strada è un serrato colloquio e una seria collaborazione fra tutte le realtà interessate e coinvolte per elaborare strategie e comportamenti per il presente e per il futuro. Questa strada va percorsa in varie sedi: a livello internazionale, nazionale e anche locale. Infatti sia le cause del problema che le azioni per rimuoverle hanno valenza ed efficacia a vari livelli che operano spesso in modo indipendente fra loro.
Per la natura sempre più autonoma degli enti locali rispetto al governo nazionale, spesso quanto deciso a livello centrale è reso inefficace in periferia. Di questo sono perfettamente coscienti le lobby che, ormai da tanto tempo, concentrano la loro azione proprio nelle periferie del sistema politico e amministrativo.
Ma ogni azione, per contrastare efficacemente questa situazione, deve passare dai seguenti punti:
- Studio approfondito delle cause, fino a individuarne le radici;
- Individuazione delle responsabilità organizzative che stanno alla base delle scelte;
- Determinazione delle azioni immediate attuabili a tempi brevi per mitigare, rimediare e rimuovere gli effetti negativi attuali o immediatamente futuri del clima;
- Studio e attuazione delle azioni capaci di rimuovere le cause che stanno alla radice del problema per assicurare la loro rimozione, dove ancora possibile, o l’adattamento alle nuove condizioni climatiche da esso ormai create.
- Instaurazione di sistemi di controllo per monitorare i progressi temporali delle azioni intraprese e certificare il raggiungimento degli obiettivi stabiliti.
- Programmare monitoraggi successivi per stabilire che i risultati raggiunti non vengano col tempo perduti o attenuati.
Pensare a questo approccio senza la sostanziale collaborazione fra le parti attualmente in conflitto fra loro è impensabile.
Per questo operare il primo passo sopra citato, costituito da una seria analisi della situazione basata sulla pratica e non sullo scontro ideologico, è fondamentale e irrinunciabile.
Essa deve partire dall’esame obiettivo, pratico ed economico della realtà attuale e delle prospettive future:
- Qual è il bilancio dei costi e delle convenienze in questa situazione?
Nella voce costi vanno messi i danni subiti, le attività per rimediarli, i risarcimenti alle popolazioni, le conseguenze sulle attività produttive e sulla perdita di competitività sul mercato nazionale e internazionale, le conseguenze sul turismo, ecc. ….
Nella voce ricavi vanno messi gli attuali guadagni delle attività umane con la prospettiva comunque di un calo per il futuro. Inoltre questo bilancio va fatto tenendo presente che i ricavi riguarderanno sempre più i singoli e le perdite saranno invece principalmente sociali sia in termini economici che in termini di servizi.
- Nel caso in cui le condizioni ambientali si dovessero, come sembra, estremizzare, sarà sempre possibile comunque continuare a produrre beni e attività inquinanti nella quantità attuale? Tali prodotti troveranno sempre un mercato recettivo?
La risposta è evidentemente negativa; si può discutere sui tempi che intercorreranno fra ora e il collasso completo o un drastico ridimensionamento, ma è chiaro che il sistema di sviluppo, così com’è dovrà comunque cambiare.
- È più conveniente affrontare senza far niente questa crisi sperando che le attività economiche riescano ad adattarsi in modo indipendente e con poche conseguenze, riuscendo magari anche a mantenere livelli di ricchezza e occupazione accettabili oppure è più conveniente collaborare il più presto possibile con tutte le componenti sociali per gestire l’inevitabile cambiamento? Con una seria gestione partecipata sarà certamente più possibile permettere alla popolazione di mantenere adeguati livelli di benessere e sicurezza e alle imprese giusti guadagni. Diversamente lasceremo il nostro futuro totalmente in mano alla selezione naturale.
- Quali ruoli devono avere la collaborazione internazionale, le realtà sovranazionali (Europa), il governo e gli enti locali sia come singoli attori che come concertazione?
- A livello strettamente locale cosa si può fare nella pratica per individuare gli specifici punti critici e le azioni che si possono mettere in atto?
La situazione è ormai tale da non giustificare alcun assenteismo o bizantinismo per tirarsi fuori portando ragioni come la limitatezza delle competenze: “non sta a noi”.
Infatti i limiti dell’intervento pratico delle amministrazioni locali sono spesso molto opinabili anche a livello giuridico e molto restringibili o espandibili a seconda dell’interesse che determina le decisioni. Situazioni che si sono verificate anche ultimamente sul nostro territorio sono lì a dimostrarlo.
Indipendentemente da questo, anche la semplice pressione politica di una o più amministrazioni locali può avere grande forza nei confronti del governo nazionale e dei partiti presenti in parlamento. Quindi la capacità o l’incapacità di affrontare il problema non può che essere ascritta alla volontà e alla capacità professionale delle persone che ricoprono posti di comando e all’elettorato che li ha sceglie
È un'analisi molto articolata e abbastanza spietata,ancorché veritiera... Grazie, Umberto! Speriamo che chi dovrebbe amministrare la "cosa pubblica" sia in grado di aprire occhi e mente, e prestissimo... Stiamo entrando, in tutti i sensi, in un'era di non ritorno, se non agiamo in sinergia.
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