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Gualchiere di Remole, un unicum nel territorio di Bagno a Ripoli

Non è infrequente incontrare cittadini del Comune di Bagno a Ripoli che non hanno mai sentito parlare delle Gualchiere di Remole, o ne hanno qualche confusa notizia. Nessuno è profeta in patria, nemmeno un Opificio industriale per la lavorazione della lana posato, da qualche secolo, sulla sponda sinistra dell’Arno. La sua posizione, lontana da Firenze, fu il frutto di una completa riconversione dell’economia produttiva della Città, che delocalizzò la lavorazione dei panni di lana per non subire ulteriormente danni, come quelli provocati dall’alluvione del 1333, con la distruzione delle strutture di lavoro su piattaforme prossime alle mura di cinta. L’Arno è creatura capricciosa, non ama farsi imbrigliare e, ogni tanto, esce dai margini alla ricerca di disastrose espansioni.

A questa esigenza si univano questioni di quella che oggi chiameremmo “salute pubblica”: rumore dei martelli, cattivo odore dei materiali per l’infeltrimento dei panni, condussero a soluzioni più funzionali ed igieniche (dal punto di vista di chi abitava la Città e la governava: problemi e vita grama rimasero gli stessi per i lavoratori,anch’essi delocalizzati). 

Fortificato e protetto, l’Opificio era autonomo nel gestire il flusso dell’acqua che, attraverso la gora di scorrimento, muoveva i macchinari che battevano i panni di lana, trattati, tra l’altro, anche con l’orina per farli infeltrire e renderli impermeabili. Col tempo la struttura fu riconvertita: alla gualcatura si sostituì la molitura delle granaglie, tramite macine da mulino che continuarono a utilizzare l’ energia motrice dell’acqua. Alla struttura del fortilizio si affianca una piazzetta allungata che costeggia una fila di case, un tempo abitate, al primo piano, dai lavoratori, mentre il piano terreno era adibito, almeno in parte, a stalle di sosta per gli animali e i carri che avevano portato le merci. Fino agli Anni Sessanta vi era l’ufficio postale; con la tragica alluvione del 1966 fu chiusa anche la scuola elementare e il barcone che collegava le due sponde, detto “la nave ai Martelli”, fu distrutto e trascinato via con tutti gli ancoraggi. L’appaltino di campagna resisté fino alla fine degli Anni Novanta a sostenere le necessità del nucleo di abitanti. Ma anche questi gruppi familiari e le attività ad essi connesse vennero meno; il borgo cominciò a spopolarsi, a rischiare di sparire nella dimenticanza della Storia, che azzera le storie minute. Né la proprietà si adoperò per evitare il degrado e l’abbandono.

Finché, nel 1992, giunse alle Gualchiere lo Scultore Piero Gensini che “incontrò” il suo Studio in una di quelle casette malridotte. Fu il “ritrovamento d’un amico”, direbbe Manzoni, un amico che aprì a Gensini nuove modalità di ispirazione, nuove Forme. Egli aveva sperimentato la sua creatività in vari altri studi, sia di Firenze che nell’immediata periferia, meditando, riflettendo e sentendosi partecipe di quell’Astrattismo Classico Fiorentino che, attraverso l’opera e il pensiero, in particolare, di Gualtiero Nativi e Vinicio Berti, intendeva intervenire sulla realtà, alla ricerca della Forma archetipica, in una visione unitaria di Arte e vita. Particolarmente importante per Piero Gensini furono la frequentazione con Gualtiero Nativi e la condivisione della sua poetica, in mutuo scambio e confronto di idee.

Gensini cerca, e trova, nella Materia l’essenza e l’armonia della Struttura, le morbidezze della Geometria, alla ricerca di archetipi essenziali di un passato che diventa elemento di meditazione sul futuro. Armonia delle Forme, come armonia etica interiore. Strutture in marmi policromi, o candidi, in legni che ancora profumano e sono vivi, volumi che sono, al tempo stesso, gocce, vele, evocazioni delle tante Civiltà che, nei secoli, si sono incontrate sul Mediterraneo. Le Vele son nate proprio alle Gualchiere.
E alle Gualchiere si apre per Piero Gensini l’incontro con la Natura, con la voce del fiume e la voce delle pietre, che hanno conservato parole e sentimenti dei tanti che, per secoli, hanno vissuto in quelle case, sofferto tra i magli, a svolgere un lavoro ingrato. Egli difende con tenacia la continuità del termine “opificio” per le Gualchiere, come Opificio delle Arti, in cui si incontrino, in condivisa ricerca, le generazioni di artisti, in cui sia realizzato un auditorium per la creatività performativa, in cui siano allestiti atelier e ambienti di ospitalità per brevi soggiorni di personalità che intendono riflettere e meditare, in cui sia organizzato, nel corpo centrale, un museo attivo, che ripercorra storia e attività del complesso, in una dimensione “antimuseale” e dinamica. 

Un progetto… una utopia?

Oggi le Gualchiere, neglette per decenni, sono minacciate da progetti speculativi e molto trendy, in una concezione consumistica, gastronomica e alberghiera, da sfruttare qui e ora. L’antica gora non ha più voce, la sua acqua si è seccata con i lavori, a monte, per una centralina elettrica. Già la fauna dell’ambiente si è impoverita, tante specie di uccelli, che sostavano tranquilli, sono migrate da altre parti.

A documentare la bellezza delle Gualchiere è attivissima Grazia Bianchi, moglie di Piero Gensini, Fotografa d’Arte. Le sue immagini dei riflessi sul fiume, dei tanti uccelli che sostano o volteggiano, sono poesie visive, di cui fanno parte anche gli scatti dedicati alle sculture di Piero Gensini: Grazia ne sa cogliere davvero l’anima, in sapiente uso di inquadrature e di luce.

I tedeschi in ritirata distrussero le mura di cinta delle Gualchiere per traversare il fiume con i carri-armati.
Questa profanazione ci basta e avanza.


Le fotografie dell'articolo sono gentilmente concesse da Grazia Bianchi.

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